L’ascensore sociale da far ripartire

In questi anni abbiamo subìto la recessione come si fa con un evento meteorologico. Ciascuno ha cercato di ripararsi come poteva e ora, scorgendo qualche spiraglio di sole che passa attraverso le nuvole, ci auguriamo l’un l’altro che il peggio sia passato. Dopo aver sbagliato l’approccio alla crisi rischiamo però ora di non interpretare nel modo giusto la fase di ripresa, dalla quale invece il paese potrebbe trarre grande slancio. Se non ripartiamo con il passo giusto il nostro destino è quello di rimanere irrimediabilmente nelle posizioni di coda dei paesi più sviluppati.

La partita del cambiamento che rischiamo di perdere

Fino a poche generazioni fa il mutamento era lento e non imponeva – tranne che per eventi straordinari come guerre o catastrofi naturali – riaggiustamenti rilevanti. I punti di riferimento erano stabili e la vita era breve. Ora viviamo molto più a lungo e tutto attorno a noi è in rapida e continua evoluzione.

I risultati concreti che ancora mancano sull’occupazione giovanile

Nel suo capolavoro “1984”, George Orwell racconta un futuro in cui il potere autoritario domina sulle vite dei cittadini tenendoli sottomessi in una condizione di carenza di vere informazioni. Uno degli aspetti più subdoli del clima di oppressione descritto nel libro è una voce metallica che all’interno dell’intimità delle case elenca continuamente dati rassicuranti su quanto l’economia vada bene e su quanto le autorità stiano operando per il bene di tutti.

La generazione che ha avuto meno e dato di più all’Italia

I senior di oggi appartengono alla prima generazione nata nel secondo dopoguerra. Sono i “baby boomers”: cresciuti in un Paese che con essi è entrato a pieno titolo nel club esclusivo delle società moderne, economicamente avanzate e demograficamente mature. Per capire però appieno le trasformazioni dell’Italia in cui hanno vissuto e vivono gli attuali senior è utile partire dalla generazione che li ha preceduti, quella dei loro genitori, nati tra la fine della Grande Guerra e i primi anni Trenta. Una generazione che ha attraversato in età cruciali alcuni snodi fondamentali del XX secolo e che con le sue scelte ha impostato il ritmo di marcia delle coorti successive.

Togliendo alle nuove generazioni alla fine perdiamo tutti

L’Italia è uno dei paesi sviluppati più squilibrati dal punto di vista generazionale, con lo svantaggio tutto a discapito dei più giovani. Difficile trovare un altro paese nel quale le nuove generazioni subiscono una combinazione tanto sfavorevole in termini di basso peso demografico, enorme debito pubblico ereditato, carenza di misure di investimento e promozione sociale. Rispetto alla media europea la nostra spesa sociale è infatti maggiormente assorbita dalle voci che vanno a protezione della popolazione anziana, come pensioni e sanità pubblica, mentre destiniamo molto meno alle politiche familiari, alle politiche attive del lavoro e a Ricerca e Sviluppo.