E’ chiara la direzione verso cui sta andando la popolazione italiana secondo i dati del Censimento permanente dell’Istat. E’ una rotta che porta ogni nuovo anno ad avere meno abitanti e più anziani rispetto al precedente. Su queste tendenze incidono fattori che in parte riguardano tutto il mondo occidentale e in parte sono specifici del nostro paese. Il vivere a lungo rientra senz’altro nel primo gruppo di fattori: l’aumento degli abitanti in età più matura interessa l’Italia come il resto d’Europa. In particolare, secondo i dati Eurostat, l’Italia presenta una aspettativa di vita non maggiore di Francia, Spagna e Svezia.
Natalità. Avere figli deve essere una gioia. Vanno rimossi tutti gli ostacoli
Le donne italiane desiderano avere figli e realizzarsi nel mondo del lavoro non meno delle donne degli altri Paesi europei. Ma è anche vero che nessuno impedisce alle donne italiane di diventare madri e di avere un lavoro remunerato. Perché allora l’Italia presenta la peggiore combinazione in Europa di bassa natalità e bassa occupazione femminile? Uno dei motivi principali è che meno degli altri Paesi mettiamo le donne nella condizione di effettuare con successo la scelta combinata (non solo ciascuna singolarmente) di realizzarsi come madri e nella vita professionale.
Il dividendo demografico
Sta venendo a compimento nel XXI secolo un passaggio unico nella storia dell’umanità che porta ad un mutamento delle tradizionali fasi della vita e ad un’alterazione del tipico rapporto tra le generazioni, con implicazioni che mettono in discussione le basi che finora hanno consentito lo sviluppo economico e la sostenibilità sociale. Il motore di questa grande trasformazione è la “transizione demografica”. La prima fase di questo processo è caratterizzata dalla riduzione dei rischi di morte in età infantile e giovanile. Via via che si abbassano i rischi anche nelle età successive, il livello di fecondità che garantisce il ricambio generazionale scende progressivamente verso il valore di due (bastano due figli per sostituire i genitori alla stessa età). Va così a restringersi la base della piramide demografica a fronte di una punta
che si alza e allarga. Si entra così in una condizione del tutto nuova che impone la sfida di garantire sviluppo e benessere in un mondo in cui i giovani diventano una risorsa scarsa (“degiovanimento”) a fronte di una continua crescita della componente anziana (“invecchiamento”).
Crisi demografica: PUNTO DI NON RITORNO?
La popolazione italiana ha esaurito la sua capacità di crescita endogena: dai 60 milioni del 2014 arriveremo a 40 milioni nel 2100. È la traiettoria disegnata da Alessandro Rosina, professore ordinario di Demografia e statistica sociale all’Università Cattolica di Milano.
Una tendenza da invertire se non si vuole rischia re l’impoverimento economico e sociale del Paese. Abbiamo fatto il punto e provato a individuare alcune soluzioni. Professor Rosina, l’Italia è destinata all’estinzione?
La prospettiva dell’estinzione è molto remota. Quello che è certo è che abbiamo già superato il punto di non ritorno rispetto all’evoluzione demografica: a causa della persistente denatalità, la popolazione italiana ha esaurito la sua capacità endogena di crescita ed è avviata verso un continuo declino, quantomeno per il resto di questo secolo.
Il saldo tra nascite e decessi è diventato negativo verso la fine del secolo scorso, è stato poi compensato dall’immigrazione, ma dal 2014 nemmeno più il contributo della componente straniera riesce a contrastare le dinamiche demografiche negative.
Da oltre 60 milioni del 2014 la popolazione è scesa, secondo il dato attuale, sotto i 59 milioni e potrebbe ridursi a meno di 40 milioni entro il 2100. Cosa accadrà dopo non siamo in grado di dirlo.
I giovani si sentono esclusi dalle scelte, così la generazione digitale è in trappola
Le dinamiche demografiche italiane, in assenza di adeguati correttivi, stanno spostando il paese verso un progressivo indebolimento del ruolo delle nuove generazioni nei processi di sviluppo e nelle scelte collettive. La conseguenza, per i giovani, è la percezione di non riuscire ad incidere sul futuro a partire dalle scelte di oggi e il timore di doversi adattare a un paese in cui sempre meno si riconoscono.