Possiamo leggere l’azione del coronavirus sulle nostre vite come una metafora? In effetti, si presta bene a rappresenta la situazione di stallo in cui da tempo si trova il mondo occidentale, la sua difficoltà a misurarsi con i rischi e le sfide di questo secolo. Un mondo libero, che però si trova a rinchiudere i suoi abitanti fisicamente, ma anche psicologicamente, ostaggi delle proprie paure. Un mondo ricco, ma diventato più attento a non perdere il benessere raggiunto che disposto a investire sul futuro, oltre che poco capace di ridurre le diseguaglianze e dare prospettive alle nuove generazioni.
La ricostruzione del dopo Covid non potrà ignorare gli under 40
L’Italia sembra finalmente incamminata sulla via di uscita dall’emergenza sanitaria. Il Presidente Conte ha annunciato domenica scorsa tempi e modalità della riapertura. Vedremo ora la preoccupazione per la gravità della crisi progressivamente spostarsi dall’andamento dei decessi a quello dei disoccupati.
Il mondo che verrà
C’è un mondo che ci aspetta dopo Covid-19. Ma più che chiederci cosa ci aspetta, chiediamoci noi come ci aspettiamo (e vogliamo) che sia. L’obiettivo comune non può, infatti, essere solo quello di uscire dall’emergenza, ma di entrare in un nuovo percorso di sviluppo coerente non solo con la protezione di vecchi e nuovi rischi, ma in grado di aprire nuove opportunità. Questo è l’auspicio soprattutto delle nuove generazioni. In un’indagine recente che ho coordinato per l’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo abbiamo sondato come gli under 35 italiani vivono e interpretano questa crisi.
Le famiglie sono il motore della ripartenza
La pandemia ha bloccato non solo il motore dell’economia, ma sconvolto anche le attività quotidiane delle famiglie e proiettato in una condizione di incertezza i progetti di vita. Ora che la morsa del virus sembra rallentare, programmare il riavvio in condizione di nuova normalità non significa solo assicurare un accesso al posto di lavoro. È interessante, a questo proposito, notare che i paesi in Europa più attenti alle politiche familiari sono quelli più consapevoli della necessità di consentire alle coppie con figli di organizzare adeguatamente tempi di lavoro, di spostamento, di vita e organizzazione familiare. Tra gli altri, Francia e Danimarca, hanno già programmato la riapertura di nidi e scuole materne.
Va riconosciuto che le famiglie italiane hanno agito con responsabilità, caricandosi di costi economici, disagi e complicazioni in questa tempesta. Tale condizione è però sostenibile e accettata solo se temporanea. Può, invece, creare molta insoddisfazione e frustrazione se, anche dopo l’uscita dalla fase di emergenza del Paese, le famiglie si troveranno a dover gestire una continua emergenza privata. Le conseguenze di una ripartenza delle attività lavorative in carenza di strumenti di conciliazione e attività socio-educative per infanzia e adolescenza investono tre ambiti: l’organizzazione dei tempi familiari; il benessere dei bambini; le diseguaglianze sociali. Le ricadute negative sul secondo e terzo punto non producono forse un impatto immediato sull’economia del paese, ma portano con sé costi che andranno a crescere nel tempo. Il policy brief “The Impact of Covid-19 on children” delle Nazioni Unite mette chiaramente in luce che le nuove generazioni, pur essendo risparmiate dal virus, rischiano di essere le maggiori vittime di come i governi gestiscono la crisi sanitaria, con conseguenze di medio—lungo periodo e accentuando fragilità pre—esistenti.
Il primo punto ha, invece, implicazioni dirette sulle condizioni attuali di ripresa della crescita del paese, per l’impatto su due indicatori che da troppo tempo ci vedono nelle posizioni peggiori in Europa: l’occupazione femminile e la natalità. La debolezza italiana delle misure di conciliazione — che sta alla base dei bassi valori su tali due dimensioni — rischia di inasprirsi ulteriormente rendendo meno solida la crescita, accentuando gli squilibri demografici, risolvendosi in ulteriore impoverimento delle famiglie con figli.
Le paure dei giovani italiani, i più pessimisti d’Europa
La crisi sanitaria ha rivoluzionato la quotidianità e proiettato in un clima di incertezza la vita delle persone. Ha anche reso più evidenti alcune nostre fragilità e rimesso in discussione alcune convinzioni. Se fino ad inizio di questo anno esisteva qualche pretesa che almeno la Lombardia si potesse misurare con le opportunità e l’efficienza della Germania, oggi è difficile poterlo ancora credere. L’incidenza degli anziani sulla popolazione tedesca è simile alla nostra, ma la letalità del virus risulta notevolmente più bassa, grazie ad una migliore gestione dell’emergenza (miglior organizzazione, massiccio uso di tamponi, maggior scorta di dispositivi di protezione, più alta disponibilità di posti di terapia intensiva). Questo significa non solo aver protetto meglio le vecchie generazioni dal rischio di morte, ma aver anche contenuto di più l’impatto indiretto sui percorsi formativi e professionali delle nuove generazioni.