Una occasione per riorientare il percorso formativo dei giovani

La preoccupazione principale di tutte le economie colpite in modo severo dalla pandemia continua ad essere, sul versante difensivo, quella di capire come garantire lo svolgimento delle attività in adeguate condizioni di sicurezza per la salute pubblica. Manca ancora, invece, una visione coerente e condivisa del piano di attacco, che abbia l’ambizione di coniugare la riduzione progressiva delle diseguaglianze sociali e degli squilibri demografici con il miglioramento continuo delle opportunità connesse alla transizione digitale e verde.

I Paesi che meglio sapranno far corrispondere l’uscita dall’emergenza con l’avvio di un percorso in tale direzione, sono destinati a cogliere i migliori frutti di una nuova fase di sviluppo. Ed è convinzione comune che la formazione sia uno degli assi portanti da rafforzare per la costruzione di una nuova normalità che non si risolva in un semplice aggiustamento al ribasso.

La ripartenza dell’anno scolastico è stata fortemente piegata alle esigenze di contenere i rischi di contagio. Ma oltre ad organizzare tempi e spazi in modo diverso da prima, per evitare l’epidemia, va colta l’occasione per capire come andare incontro alle nuove esigenze di apprendimento delle giovani generazioni con la sperimentazione di nuovi strumenti, modalità di erogazione e fruizione dei contenuti. In assenza di un forte impegno in questa prospettiva il rischio è quello di un aumento della dispersione scolastica e delle fragilità educative, con conseguente ulteriore indebolimento della già scarsa dotazione di capitale umano del Paese. I dati del Rapporto BES (Benessere equo e sostenibile) mostrano come la maggior deprivazione dei giovani sia quella che combina carenze nella dimensione formazione e lavoro con disagio sociale

Ma oltre a mettersi in sintonia con i cambiamenti antropologici nel modo in cui le nuove generazioni apprendono, sviluppano sensibilità e interessi, è cruciale anche aver ben chiaro: come aiutare i giovani ad intrepretare le trasformazioni del mondo in cui vivono e capire cosa cambia nello scenario post Covid-19 (nella vita quotidiana e nel lavoro); come dotarli di competenze che rafforzano la possibilità di partecipare ai più avanzati processi di sviluppo dei prossimi decenni; come riqualificare, inoltre, chi è già uscito dal sistema di istruzione e non trova lavoro, in coerenza con ciò di cui oggi ha più bisogno il sistema produttivo per ripartire.

La Commissione europea ha recentemente elaborato un pacchetto di azioni da finanziare con Next Generation Eu per sostenere una occupazione giovanile in sintonia con i cambiamenti del mondo del lavoro e le nuove competenze richieste. Una delle principali Raccomandazioni riguarda l’istruzione e formazione professionale (IFP). Per l’Italia questo è uno dei fronti da cui possono derivare i maggiori margini di miglioramento nello spostarsi dalla strategia di difesa a quella in attacco. Da un lato, la debolezza su ampia parte del territorio italiano dell’offerta di istruzione tecnica e professionale è uno dei motivi dell’alta dispersione scolastica. D’altro lato, la modernizzazione e il rafforzamento dell’IFP può favorire in tutto il Paese un maggior accesso alla formazione tecnica post-secondaria (ITS) e a quella terziaria. Da questo fronte è possibile, insomma, ottenere una delle spinte più rilevanti alla convergenza dell’Italia verso la media europea sugli indicatori dell’istruzione e della transizione scuola-lavoro, su cui attualmente presentiamo valori tra i peggiori dell’Unione.

La Commissione europea ha inoltre annunciato il rinnovo dell’Alleanza europea per l’apprendistato con l’obiettivo di rafforzarne qualità, offerta e immagine nei paesi membri. L’obiettivo è garantire un’offerta stabile di apprendistati efficaci, con particolare attenzione alla coerenza con le necessità di sviluppo sul territorio e con le esigenze delle PMI.

Una proposta concreta in questa direzione è stata recentemente avanzata da Forma, l’associazione degli enti nazionali di formazione professionale, Si tratta di un piano che prevede azioni mirate su due principali platee di giovani (più una di adulti), calibrate sulle specifiche esigenze e in funzione dei livelli di occupabilità. La prima è verso gli under 25 disoccupati che hanno lasciato precocemente la scuola. Per essi si prevede l’offerta di un apprendistato formativo che porti al diploma professionale nei percorsi IFP. La seconda azione riguarda i NEET under 30 con diploma di istruzione secondaria (la componente più ampia dei giovani che non studiano e non lavorano) ai quali offrire la possibilità di accesso a percorsi di apprendistato duale di terzo livello per il conseguimento di un diploma ITS.

Si tratta di una proposta solida e coerente per chi si trova in difficoltà nella transizione scuola-lavoro ma ha buone potenzialità per riorientare il proprio percorso rafforzando competenze sia direttamente spendibili sia di tipo avanzato (in funzione dello sviluppo presente e futuro del territorio). E’ su politiche di questo tipo che si gioca la differenza tra considerare le nuove generazioni come parte attiva di un paese che cresce o percettori passivi del reddito di cittadinanza.

Possiamo pensare allo spazio strategico dell’uso delle risorse di un paese formato da due assi. Il primo è quello che distingue le politiche di welfare passive e attive, il secondo contrasta età più giovani da quelle più anziane. Rispetto agli altri paesi avanzati il nostro tende a collocarsi in basso a sinistra nello spazio formato da tali due dimensioni, caratterizzandosi per una particolare combinazione di politiche passive e di spesa pubblica destinata alle generazioni più mature. La diagonale principale coglie la direzione passato-futuro ed è quella lungo cui spostare il Paese potenziando gli investimenti in politiche attive e verso le nuove generazioni.

Aiutare le nuove generazioni a riorientare in modo più solido il proprio percorso formativo e professionale è il modo migliore per aiutare il Paese, con le risorse di Next Generation Eu, a riposizionarsi nello spazio strategico più favorevole al percorso di sviluppo nel medio e lungo periodo.

I ragazzi e il Covid: “Poche informazioni e fame di normalità”

L’Italia è nel pieno della seconda ondata di pandemia e tra i fattori che la alimentano, come indicano vari esperti, ci sono soprattutto le interazioni sociali fuori dagli ambienti controllati. Classi scolastiche e luoghi di lavoro sono contesti in cui le norme sono maggiormente applicate e rispettate. Gli stessi studenti e lavoratori si trovano però poi ad usare mezzi pubblici nei quali il distanziamento è un optional e a frequentare spazi di aggregazione.

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Da NEET a generazione “imprendente”. Giovani nello scenario postpandemico

Le nuove generazioni italiane hanno subito nel tempo un progressivo indebolimento della capacità di mettere le proprie energie e intelligenze al servizio dei più avanzati processi di sviluppo, conseguenza di fragilità su tutta la transizione scuola-lavoro. L’Italia è così diventata uno dei Paesi con maggior percentuale di NEET (gli under 35 che non studiano e non lavorano). Condizione ulteriormente cresciuta con la grande recessione del 2008-13 e rimasta, dopo la crisi, tra le peggiori in Europa.

Per abolire le diseguaglianze servono asili e formazione permanente

La sfida maggiore del nostro tempo è saper gestire la complessità. Saper, inoltre, individuare e cogliere opportunità nella complessità. Ma anche crearne di nuove. E, infine, dalle opportunità saper generare valore, alimentando un circuito virtuoso in cui la capacità di essere e fare delle persone cresce assieme ai livelli di benessere (nelle sue varie dimensioni) del contesto sociale ed economico in cui operano.

L’investimento migliore? Servizi per l’infanzia

Difficile trovare in Europa una combinazione peggiore della nostra su bassa fecondità, bassa presenza femminile nel mondo del lavoro, alto rischio di impoverimento dopo il secondo figlio. Se non bastasse, i primi dati sull’impatto della crisi causata dalla pandemia preannunciano un grave peggioramento su tutte queste dimensioni.

Non esiste una bacchetta magica, ma se vogliamo davvero invertire il percorso fuori rotta che da troppo tempo ci caratterizza, il miglior investimento sociale che possiamo oggi fare è sui servizi per la prima infanzia. Si tratta della misura maggiormente in grado di favorire i meccanismi che mettono in relazione sistemica virtuosa l’occupazione delle donne, la condizione economica delle famiglie, la realizzazione dei progetti di vita, lo sviluppo umano delle nuove generazioni, la riduzione delle diseguaglianze sociali e territoriali. I nidi hanno, infatti, una funzione cruciale, oltre che per la conciliazione tra lavoro e famiglia, anche (e ancor più) per lo sviluppo socio-educativo a partire dalla nascita. Se l’assegno unico-universale, approvato alla Camera, assume come destinatario il bambino, indipendentemente dalle caratteristiche dei genitori. Se il congedo di paternità obbligatorio risponde all’esigenza dei figli di poter beneficiare della presenza del padre nei primi giorni di vita. Continua invece a mancare un piano che metta al centro – attraverso servizi di qualità e in grado di raggiungere tutti – il “diritto di ogni bambino” di poter contare su una proposta educativa stimolante e qualificata fin dall’infanzia. Servono però impegni chiari e precisi in questa direzione. Come il riallineare tutte le regioni italiane, entro i prossimi tre anni, al target europeo del 33 percento di copertura della fascia 0-3, assieme alla progressiva riduzione dei costi per le famiglie. Prima tappa di un processo di convergenza – magari anche con la spinta di Next Generation Eu – con le migliori esperienza europee.