Tra il Made in Italy che piazziamo bene all’estero ci sono sempre più anche gli italiani stessi, spesso di buona qualità. L’espatrio dal Belpaese è, del resto, un fenomeno sempre più ampio ma anche sempre più complesso e articolato. Va prima di tutto considerato che la facilità di spostamento e di accesso a opportunità virtualmente presenti in qualsiasi altro paese del mondo, rendono oggi molto più comune e praticabile la scelta di viaggiare per svago, studio e lavoro.
Questa componente degli spostamenti internazionali è sotto vari aspetti diversa da quando dall’Italia si partiva con la valigia di cartone, ma anche rispetto a chi arriva sul nostro territorio fuggendo da guerre o condizioni di accentuata deprivazione e povertà. Una parte crescente di persone dai paesi più avanzati si sposta in altri paesi per scelta di una vita diversa o per cogliere nuove opportunità in contesti nuovi. Expat è un neologismo nato proprio per indicare chi si sente parte di un mondo in movimento, che è sempre meno quello dei confini dell’ottocento e sempre più quello delle reti del nuovo millennio. Si nasce in un luogo, ci si forma in un altro, si va a vivere in un altro ancora: tutti questi, più che punti statici di un passato lasciato alle spalle, sono nodi di una rete di rapporti affettivi, di amicizia, di lavoro, in connessione continua.
Tutto bene quindi? Si, finché si rimane nel dominio delle scelte e delle opportunità; finché con la stessa facilità si può decidere di partire, di tornare, di farsi ponte tra il proprio paese e il mondo. Molto meno se si parte per necessità; se conta più il motivo per cui si lascia che il desiderio verso cui si tende; se una volta partiti diventa poi difficile tornare e se una volta all’estero ci si sente poi dimenticati dal proprio paese.
L’Italia è uno dei paesi occidentali che meno promuovono la parte virtuosa di questo fenomeno e più subiscono la parte problematica. Più elevate sono le risorse culturali e il capitale sociale, più tende a prevalere la componente della scelta. Viceversa, più basse sono le condizioni di partenza combinate con alte aspettative, più ci si sposta per necessità. In entrambi i casi sono soprattutto i laureati e i più dinamici ad alimentare la crescita dei flussi verso l’estero, con conseguente accentuazione del degiovanimento quantitativo e qualitativo della popolazione italiana. Ma più recentemente è aumentato il contributo ai flussi in uscita delle persone di mezza età. Su costoro agisce la particolare combinazione di un effetto generazionale, storico e anagrafico. Il 2017 è l’anno del trentennale del programma Erasmus. La prima generazione che lo ha utilizzato è proprio quella degli attuali 45-50enni e dintorni. Il periodo di crisi ha rivitalizzato una predisposizione allo sguardo oltre confine come risposta alla necessità o opportunità di cambiare lavoro. Tutto questo in una età in cui – anche come conseguenza dell’aumento della longevità – è (e sarà) sempre più possibile cogliere la sfida di iniziare una seconda vita.